12/01/17

Io gioco meglio di voi.

No, non è vero, non gioco meglio di voi. Ma è già un po' di tempo che non aggiorno il blog e soprattutto è un sacco di tempo che non scrivo qualcosa che riporti l'avversione della comunità dei giocatori da tavolo nei miei confronti a livelli decenti.
Quindi, mi sono detto, rimediamo.
Discutiamo di gusti, tanto per contraddire il celebre detto popolare. O per dargli definitivamente ragione, poi vediamo.


Spesso, nei gruppi dedicati al gioco da tavolo, si parla di quello che ci piace o no. Questo è normale: succede fra appassionati di film, di musica, di libri. È naturale che avvenga anche fra giocatori.
Ormai lo "scontro" fra amanti degli eurogame e amanti dei giochi all'americana è diventato un meme, e la cosa sarebbe anche divertente se non fosse che si corre sempre il rischio di perdere un po' la bussola all'interno delle discussioni, dimenticando - più o meno inconsapevolmente - dove finisce l'oggettività e dove iniziano i gusti.

Quando Robin Hunicke, Marc LeBlanc e Robert Zubek formalizzarono il framework MDA, una struttura descrittiva dei giochi, misero sul banco un concetto importantissimo per qualsiasi game designer, quello di "tipo di divertimento" o "tipo di piacere" ("kind of fun" in originale). L'idea è piuttosto semplice: ognuno di noi trae piacere o divertimento da cose diverse e in misure diverse.

C'è chi adora esplorare mondi fantastici, chi ama narrare storie, chi si sente appagato superando ostacoli e vincendo sfide con sé stesso o contro gli altri, chi è particolarmente deliziato dal lato visivo o estetico dei giochi, chi predilige l'aspetto sociale, chi vuole solo "staccare" e passare un po' di tempo in modo ozioso e così via.
Un giocatore di Bloodborne e un giocatore di Life is Strange sono entrambi videogiocatori, ma hanno desiderata e fonti di piacere estremamente diverse fra loro. Il primo giocatore vuole probabilmente esplorare un mondo dettagliato, aperto, denso di sfide ardue e diventare sempre più abile sia nel mondo di gioco (passando di livello col proprio personaggio) sia in quello reale, mano a mano che la propria destrezza e i propri riflessi aumentano adattandosi alle meccaniche del gioco. Il secondo vuole scoprire e partecipare allo svelarsi di una storia, conoscere le emozioni dei personaggi, sapere "come andrà a finire" magari influenzando il corso degli eventi. Sono due modi diversissimi di giocare, eppure sono due facce dello stesso hobby.

Allo stesso modo, nel gioco da tavolo cose diverse danno sensazioni diverse a giocatori diversi. C'è chi ama il calcolo e la pianificazione, chi adora la deduzione, chi non si diverte se non prova il "brivido" di un lancio di dadi in un momento critico. C'è chi adora i party game per stare in compagnia e chi invece detesta l'interazione diretta. Nessuno di questi "gusti" è "quello giusto": ci sono centinaia di sfumature ed è impensabile che le nostre siano le stesse di tutti gli altri, l'importante è ricordare che i nostri gusti non sono "migliori", magari sono solo diversi da quelli di chi abbiamo accanto.

"Ma quindi non c'è nessun parametro oggettivo?"
Certo che ci sono parametri oggettivi, ma sono meno di quelli che si pensa.
Per esempio, l'interazione: come scrissi in un vecchio articolo su Gioconomicon, l'interazione è il modo, l'intensità e la frequenza con cui le azioni dei giocatori influenzano il gioco degli avversari. L'interazione può essere indiretta (le mie azioni limitano le scelte degli altri senza toccare i "pezzi" degli avversari) o diretta (bersaglio i possedimenti di uno o più giocatori). L'interazione diretta può essere indistinta (rubo un cubetto a tutti gli altri) o mirata (rubo un cubetto proprio a te) e può avere diversi gradi di volontarietà (io faccio il mio gioco e questo ti influenza anche se non voglio, oppure decido coscientemente di procurarti un danno in game, perché mi conviene o perché mi stai sulle balle). Tutto questo è oggettivo.

Quanto questo piaccia o dia fastidio, invece, è soggettivo. L'interazione può essere divertente o frustrante a seconda dei nostri gusti. Prendete Scythe: il gioco si basa quasi interamente sull'interazione indiretta e sul "coltivare il proprio orticello", ma il gioco prevede anche la possibilità che i giocatori combattano per la conquista di territori in modo diretto. Io ho trovato quest'ultima forma di interazione un po' forzata, non mi ha dato il "brivido" che mi danno gli scontri in altri giochi e non mi ha entusiasmato; per il mio amico Gianpoldo, invece, è quel pizzico di pepe che rende il gioco ancora migliore di quello che già è. Non è che abbia ragione io o abbia ragione lui: abbiamo semplicemente gusti diversi su quel dettaglio, dettaglio che però influenza di molto l'esperienza di gioco di entrambi. Magari concordiamo sul fatto che il "motore" di Scythe sia estremamente ben fatto e divertente, perché a tutti e due piacciono i giochi basati su un efficiency engine, ma a livello di esperienza di gioco l'interazione ha effetti diversi sul nostro divertimento: in un caso lo smorza, in un altro lo amplifica. Per esempio la nostra amica Stefantonia odia Scythe perché è un gioco troppo lungo e serio, a lei piace Tzulan Quest, dove ci si fa una bastardata al secondo e dove si ride, si contratta e ci si offende la mamma.

Altro esempio, tanto ormai se siete arrivati fin qui credo continuerete a leggere.
Recentemente Vudù è finito fra i primissimi bestseller di Amazon, toccando a tratti anche il secondo posto (e qui scatta un grazie a tutti quelli che l'hanno scelto, ovviamente). A giocarsi le prime posizioni, oltre a Vudù, c'erano Jenga, Dobble e Monopoly.
Jenga, essendo un gioco di destrezza, per molti hardcore gamer non è neanche un gioco da tavolo. Evidentemente però piace a un sacco di gente, perchè? Perché ha dei componenti in legno gradevoli al tatto, è facile da imparare ed è un gioco estremamente "leggero" pur lasciando a ogni mossa il "brivido" del rischio di far crollare tutto. E quando crolla tutto è divertente.
Dobble è un gioco di velocità, che a me piace poco. Perché? Perché in quasi tutte le modalità di gioco non c'è nessuna penalità in caso di errore. Potrei dire tutti i simboli finché non azzecco quello giusto e il gioco non mi "punirebbe" in nessun modo. Tecnicamente questo è un difetto formale, ma per la stragrande maggioranza dei casual gamer il problema non si pone neanche, se un giocatore fa così gli dicono "oh, smetti di rompere i coglioni" e risolvono "socialmente" il problema di design. I giocatori di Dobble sono scemi? No, per nulla: si divertono. Dobble è oggettivamente un gioco di grande successo, per molti motivi (semplicità, rapidità, packaging, fascia di prezzo etc): se a me non piace è solo perché in qualche modo non incontra i miei gusti. Questo non m'impedisce di invidiare fortissimo Denis Blanchot per averlo inventato.

Monopoly, in molti gruppi di giocatori, è l'equivalente dell'anticristo. Non starò qui a discutere sul suo "monopolio" sugli scaffali, sui problemi della grande distribuzione e sulle ragioni commerciali del suo successo. Quello che mi preme sottolineare è questo: Monopoly è un gioco che ha un tema estremamente accessibile, un sistema di punteggio molto intuitivo (i punti sono i soldi, più facile di così), un sistema di interazioni dinamico (aste, scambi, affitti), ti permette di "crescere" costruendo case e alberghi; ti permette di rischiare più o meno a seconda di quello che compri e che costruisci e, se perdi, puoi sempre dire che hai avuto sfiga coi dadi. Non è privo di difetti, ci mancherebbe (dopo tutto la base è un gioco concepito nel 1903, quando una lista di "difetti formali" non era neanche lontanamente concepibile), ma le ragioni del suo successo sono abbastanza lampanti. E, soprattutto, se a un giocatore piace più Monopoly di Through the Ages, va bene. Ha solo gusti diversi dai miei o dai tuoi. E se gli fai provare Through the Ages "perché è meglio", potrebbe anche continuare a preferire Monopoly senza per questo essere un ritardato o un incompetente. Stamoce.

Scusate se insisto, ma la prospettiva è importante. Quello che è "di moda", o figo, in una nicchia, anche se può farci sentire superiori, è probabilmente una roba "da sfigati" fuori da quella nicchia. Per uno che adora gli sport estremi, sedersi a giocare cinque ore al Trono di Spade è una tortura. Quella persona è "meno qualcosa" di me? Sì, forse, ma solo nella nicchia della mia nicchia: se invece facciamo una camminata sui monti io arrivo ore dopo di lui, probabilmente dopo aver sputato i polmoni. Funziona anche all'inverso: c'è sempre qualcuno che gioca qualcosa di più tosto di noi. È inutile bearsi di essere campioni di Hive quando al mondo esistono i giocatori professionisti di Go, no? In realtà, semplicemente, si tratta di divertirsi e ottenere soddisfazione in modi diversi.

Propongo di fare un gioco: iniziamo a usare meno "è bello" o "è brutto" e riscopriamo l'uso di "mi piace" e "non mi piace"; proviamo a mettere un po' di "secondo me" prima delle frasi che potrebbero contenere pareri personali anziché realtà incontrovertibili; sforziamoci di capire cosa e perché piace agli altri prima di essere assolutamente certi di avere la verità in tasca, ricordiamoci che non esiste un modo "giusto" o "sbagliato" di giocare ma tanti modi diversi di divertirsi. Secondo me ne guadagnamo tutti e, magari, scopriamo anche giochi nuovi che non pensavamo potessero piacerci.

Buon gioco a tutti, di qualunque tipo sia.

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