Questa Essen Spiel è stata davvero molto particolare.
I mesi precedenti, con la produzione di Super Fantasy: la Notte dei Morti Male, le edizioni estere di GodZ e Vudù e la messa in stampa dei giochi pocket erano stati a dir poco frenetici. Talmente frenetici che fra comunicati, correzioni, interviste, playtest serrati e serate promo, avevo dimenticato una cosa che l'esperienza della Spiel di quest'anno ha contribuito enormemente a farmi riscoprire.
Cosa? Ve lo spiego subito.
Il pre-fiera non è stato dissimile dai giorni precedenti. Fra allestimento e briefing, c'è stato davvero poco spazio per qualsiasi cosa non fosse "fare", anche se la giornata è stata allietata da un nuovo capitolo nella serie di indegne scenette che compone la storia dei saluti in fiera fra me e Ralf Siedek (l'event manager metallaro di Heidelberger Spielverlag).
Per dovere di cronaca: a questo giro io gli sono corso incontro urlando, lui mi ha sollevato e mi ha ribaltato a mo' di tecnica di wrestling. Per fortuna non mi ha terminato con un suplex ma mi ha rimesso a terra intero, tanto che ho replicato "nice, can we do it again?".
Ok, siamo professionisti seri, ma non proprio sempre sempre sempre.
A parte questo, l'inizio della fiera, per me, è stato piuttosto loffo. Nonostante lo stand più grande, la presenza di un sacco di giochi col mio nome sopra, nonostante avessimo accanto Nordlandsippe, il nostro editore tedesco, che dimostrava le neo-arrivate edizioni teutoniche di Vudù e del primo Super Fantasy, nonostante ci fosse gente e allo stand fossimo tutti motivati, nonostante fosse chiaro che sarebbe stato un bell'anno per gli italiani, grazie ai (tanti) giochi provenienti dallo stivale, che hanno portato premi e onori a tanti colleghi, esordienti e non... nonostante tutto questo, mi sono reso conto di essere arrivato in fiera decisamente stanco.
A darmi la carica, per fortuna, ci hanno pensato i giocatori.
A Spiel ho passato la maggior parte del tempo ai tavoli di Super Fantasy: la Notte dei Morti Male.
Sarà che l'ambientazione del nuovo capitolo la sento particolarmente mia, sarà che si è innescato da subito un buon feeling coi giocatori, ma ho preso già dalle primissime demo un ritmo particolarmente incalzante nella spiegazione, basato praticamente solo su descrizioni di elementi del setting e su esempi concreti. Sarà stata anche fortuna, magari ho trovato tavoli particolarmente ricettivi, ma mi sono davvero goduto le espressioni e i commenti dei giocatori che prima ridevano per le bio dei personaggi e per le storie dei Morti Male, e poi pian piano si lasciavano coinvolgere dalla missione, dandosi consigli tattici, imprecando per un tiro storto e iniziando a parlare "in tema". Quando un giocatore, anziché dire "attacco con gli ultimi tre dadi a raggio 3", esclama "e adesso gli vuoto addosso quel che rimane del caricatore!", o quando attivando l'abilità "Retrorazzi" fa scivolare la pedina all'indietro mantenendo l'orientamento del personaggio, ormai è "dentro" il gioco, è nel cerchio magico con entrambi i piedi, e per un autore è, senza esagerare, un piccolo spettacolo.
Quando inizio a progettare un gioco, è questo quello che ho in mente, quello che vorrei. Ma poi, oltre alla parte creativa, intervengono mille altre cose da fare: stai un sacco di tempo dietro la scrivania, a rispondere alle mail, a scrivere regole o a seguire forum e blog, prepari prototipi, dai una mano in produzione, fai playtest su playtest, quasi in automatico, col tuo gruppo di addetti, che poi è un pool di scafati bastardi (cui voglio molto bene) che sono lì per sbriciolarti le idee. Magari giochi a qualche progetto che l'editore pensa di pubblicare o distribuire, cercando criticità e problemi (per quanto ogni tanto ti vada anche bene, magri ti capita per le mani l'eccellente MoodX di Martino e Benedetto). E così perdi un po' di vista quello che era stato l'inizio del viaggio e che ne è la fine naturale: l'esperienza di gioco degli "utenti finali", i giocatori. E non c'è modo, se non quello di giocare o di veder giocare, per riscoprire perché ti eri messo a fare proprio quel gioco lì.
Avevo accanto l'edizione tedesca di Vudù e due tavoli di GodZ, magistralmente condotti da Diego, quindi avevo giocatori che ridevano da un lato e che pensavano alla strategia dall'altro. Tante persone che si sono divertite in modi diversissimi fra loro e che, indipendentemente dall'acquisto, che fa piacere ma non è tutto, in moltissimi casi si alzavano soddisfatti, ci faceveno i complimenti, ci chiedevano come erano nati i giochi, ci ringraziavano per la partita.
Questo è quello che mi piace, il motivo per cui è bello fare giochi: la scatola sullo scaffale, il passo con cui molti tendono a "chiudere" il processo di ideazione e produzione di un gioco, in realtà è solo un trampolino, un mezzo per far arrivare un'idea di esperienza sui tavoli.
Sui vostri tavoli. E dunque, grazie a tutti.
PS: non siamo riusciti a fare proprio sold out in fiera con GodZ, ma direi che la baldanza di Diego mentre mostra il cartellino strappato dalle ultime 2-3 copie rimaste a fine fiera è un'altra cosa che mette abbastanza di buonumore :)
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