19/03/14

Sporcarsi le mani

Please do not think that reading this book, or any book, will make you into a game designer, much less a great game designer. Game design is not a set of principles, it is an activity. You could no sooner become a singer, pilot, or basketball player by reading a book than you could become a game designer. There is only one path to becoming a game designer, and that is the path of designing.
(Jesse Schell)

La frase qua sopra è una delle mie preferite tratte da "The Art of Game Design, a Book of Lenses", anzi, forse è una delle mie frasi preferite sul game design in generale. La frase non significa, ovviamente, che lo studio non sia importante. Anzi, se siete fra quelli che pensano che l'apprendimento teorico sia una cosa inutile, perdonerete la mia asprezza se liquido questo atteggiamento misero con la mia proverbiale scarsa diplomazia: al di là dell'implicito insulto a chi studia, è un atteggiamento che denota un attaccamento all'ignoranza talmente tenace da meritare più compassione che considerazione.

Sostiene Schell, e con lui credo chiunque abbia mai provato a progettare un gioco per farlo finire su uno scaffale, che il game design sia un'attività. Un'attività pratica. Si tratta di progettare un gioco, svilupparlo, metterlo "in moto", e ancora lavorarci su insieme ad altri, finché non diventa un prodotto finito. Indipendentemente dalle basi da cui si parte, nel pensare e realizzare un gioco serve concretezza: il risultato sarà un artefatto che qualcuno giocherà, senza voi lì di fianco a spiegargli quanto è bello, o perché quella regola è scritta così, o perché l'ascia bipenne ha lo stesso valore d'attacco della spada ricurva.

Certo, si può discutere degli aspetti più teorici della progettazione; si possono scrivere manuali, si possono incrociare le buone pratiche con i game studies, con le statistiche su giocatori e si possono analizzare le tendenze, le indagini di mercato, ma la realizzazione di un gioco è un'attività dannatamente concreta: non è un caso se nel libro che ho presentato qualche tempo fa ci sia una chiarissima distinzione fra game studies e progettazione.

Al contempo, così come parlare di gioco è stupido se non si è mai giocato, e parlare di studio del gioco è paradossale se non si è mai aperto un libro, è chiaro che se non ci si è mai sporcati le mani provando a fare un gioco ogni tentativo di parlare di game design avrà come unico risultato l'approssimazione quando non la goffaggine a livello espressivo e contenutistico. Senza offesa per chi ci prova, ma è così: sia parlare di giochi, che fare giochi bene, come ho detto altrove, è un'attività che necessita competenze e conoscenze. Io non so se ci riesco, a fare giochi fatti bene, ma almeno ci provo, consapevole che non è un'impresa semplice. Una cosa che mi ha insegnato mio padre (a cui fra parentesi faccio gli auguri, che oggi è la festa del babbo) è che poche cose sono facili, e che se una cosa non è facile, facendola facile sbagli. "Stacce", direbbero Lillo e Greg.

E dunque, quasi tutti concordano sul fatto che sarebbe molto meglio lasciare che a parlare di elementi extradiegetici e uso del compositing siano i registi e non i cinefili, o - se preferite - che a spiegare come si fa un cross sia un'ala destra e non un tifoso della Sanbenedettese. Eppure tutti si sentono in grado di stilare la propria, infallibile lista di meccaniche, salvo poi non saper indicare con esattezza cosa siano, queste benedette meccaniche, anche perché di definizioni ne sono state date parecchie*, e addirittura c'è chi, come Tadhg Kelly, dice che il termine ha talmente tanti significati che forse sarebbe meglio non usarlo, che poi le discussioni finiscono con compassati teorici che mettono mano al coltello, e a vedere certe discussioni viene anche voglia di dargli ragione.
Non che non si possa parlarne, ci mancherebbe. Però saltare a pié pari anni di discussioni, studi, libri, articoli e lectures e iniziare a sparare classificazioni e definizioni mi pare un po' arrogante. Poi io sono quello antipatico, e ok, però diamoci una regolata.

Ok, basta. Prometto che il prossimo post sarà un po' meno rant e un po' più giocoso, d'altra parte si avvicina Play! ed è il caso di parlare delle novità che troverete alla fiera modenese, alcune delle quali davvero molto interessanti nonostante vi sia coinvolto il sottoscritto.

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* Ad uso e consumo dei sette geek che hanno apprezzato la nota al post precedente: io le definisco come il mezzo attraverso cui le scelte dei giocatori acquistano significato nel mondo di gioco: la definizione purtroppo merita un discorso approfondito, dato che è funzionale a fare giochi secondo un metodo strutturato. Quindi mi scuso in anticipo con tutti quelli che lascerà scontenti, per esempio chi cerca una definizione ad hoc per avere ragione su un forum o una definizione facile e veloce per il proprio blog.

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