24/03/14

5 autori che se la sono passata peggio di noi

Come sa chiunque abbia impastato almeno una volta cubetti e segnalini, una delle parti più noiose dello sviluppo di un gioco è la prototipazione. Perché magari la prima versione viene realizzata sull'onda dell'eccitazione per il nuovo progetto, ma alla terza o quarta modifica del prototipo l'idea di realizzare-stampare-ritagliare-imbustare di nuovo quelle 110 carte procura un vago senso di nausea.

Ho perso il conto delle volte che abbiamo ristampato le carte e la plancia di 011, e soprattutto di quante volte abbiamo ritagliato in maniera certosina le ruote dentate (farle girare sul prototipo era un incubo). Super Fantasy ha avuto sostanzialmente tre fasi di sviluppo: ogni volta ho dovuto ristampare magari non tutta, ma - vi assicuro - buona parte della dotazione "cartacea" (quella che ora è un chilo e mezzo abbondante di fustella). E quindi incollare, ritagliare, piegare il cartoncino; magari rifare i dadi, e ovviamente rimettere tutti i Brutti Musi sui loro stand-up. Anche Vudù, che ha avuto una gestazione lunga, ha visto me e Francesco stampare, tagliare e imbustare un sacco di carte e cartoncini. Più volte. Dei progetti futuri vi parlerò un'altra volta, ma fidatevi: uno di questi abbiamo dovuto rifarlo, da zero, a sviluppo ormai iniziato. Ed è un gioco di tessere.

Dato che quella sensazione di pessimismo & fastidio (cit.) derivante dal dover rifare ex-novo i componenti per la quinta volta è una delle principali cause di quella scellerata frase che prima o poi viene in mente a tutti (ossia "ma no, lasciamo stare, facciamo che aggiustiamo il regolamento") che immancabilmente si traduce in problemi più gravi, a tratti irrisolvibili e, qualora il lassismo fosse presente a più livelli produttivi, a bug imbarazzanti nella versione finale del gioco, mi sono permesso di ricordare cinque autori, coi relativi giochi, che almeno nel mondo della mia fantasia se la sono passata peggio di me quando hanno dovuto fare il prototipo ma che, visto il successo che hanno avuto, mi fanno rivalutare istantaneamente la fatica spesa a rifare i componenti dei giochi.

5. Donald X. Vaccarino con Dominion. Solo nel base ci sono 500 carte. Basta pensarci per rendere più leggero qualsiasi processo di ritaglio e imbustamento. Se Donald fosse stato italiano avrebbe potuto vincere in un colpo solo cinque premi per il Miglior Inedito di Lucca Games, contemporaneamente.

4. Uwe Rosemberg con Agricola. Ogni giorno, gruppi di attivisti di Greenpeace presidiavano casa sua nel disperato tentativo di impedirgli di aggiungere l'ennesima risorsa o un'altro pezzo di fustella che avrebbero significato l'abbattimento di nuovi tratti di Foresta Nera. In più, nel gioco base ci sono 300 carte, che insomma mica possiamo lasciare Vaccarino a imbustare da solo.

3. Mike Elliot e Eric M. Lang con Quarriors.
"Salve, signor Chessex. Abbiamo bisogno di altri 34 dadi-sei: 5 neri coi numeri gialli, 5 rossi coi numeri blu, due serie di dodici, bianchi coi numeri rossi."
"Ragazzi, io devo avvertirvi, state esagerando... avete preso una brutta china, si inizia coi dadi a sei facce bianchi e poi si finisce in un vicolo in overdose di D20."

2. Vlaada Chvatil con Mage Knight Board Game. Uno zilione di carte e segnalini, tutti strettamente connessi fra loro. Ci credo che fa buona parte dello sviluppo con modelli informatici. "Ok, abbassiamo questo Ranged Attack da 4 a 3. Ah, accidenti, devo alzare il valore dell'azione base, altrimenti la carta perde di senso. Oh, allora è meglio se tolgo swiftness a un paio di creature. Però aspetta: così questi incantesimi sono troppo potenti. Ripartiamo da capo, và".

1. Christian T. Petersen con Twilight Imperium. Sommate tutti i precedenti, e moltiplicate per tre edizioni.

E insomma, alla fine non m'è andata tanto male. E se anche a voi viene da sbuffare quando dovete rifare un prototipo, non preoccupatevi troppo: è lavoro, e mi perdonerete se mi sbilancio nell'affermare che non è affatto uno dei peggiori.