22/09/17

Trash-talking e game design

Come alcuni sanno, io sono un sostenitore del player-centric game design, ossia di quell'approccio che mette al centro del processo creativo il giocatore e l'esperienza ludica che andrà a vivere una volta che avrà defustellato e messo sul tavolo l'artefatto da noi progettato. È una corrente (teorizzata fra gli altri da Tracy Fullerton in "Game Design Workshop -  A Playcentric Approach to  Creating Innovative Games" e da Ernest Adams in "Fundamentals of Game Design": raccomando entrambi a chi volesse saperne di più su questo tipo di approccio alla progettazione di giochi) che ha come nodo centrale la soddisfazione del giocatore, e tenta di raggiungerla tramite l'immedesimazione con lo stesso e il tentativo di fornirgli un'esperienza il più possibile appagante.

Questo approccio si avvale spesso e volentieri del supporto di quella parte dei Game Studies focalizzata, più che sul gioco, sul giocatore: indagini su come si comportano i giocatori, quali elementi sono considerati fondamentali in questo o quel genere dagli appassionati, studi sulle interazioni fra giocatori con caratteri diversi fra loro, e così via.

Fatta questa premessa, vorrei fare una riflessione su un fenomeno che spesso sta in secondo piano nelle discussioni fra giocatori, ma che meriterebbe un approfondimento dal punto di vista del game design: il trash-talking, di recente protagonista su un nutrito gruppo Facebook dedicato ai giochi da tavolo di un'animata discussione. Cos'è il trash-talking? È l'uso della parola - sia essa usata come vanteria, come insulto o in altro modo - atto a distrarre, deconcentrare, innervosire o intimidire l'avversario. Il trash-talking può essere faceto e scherzoso, ma anche aggressivo e in alcuni casi persino offensivo.
"Non provare a spostare quella pedina!"
Questa "tecnica" è stata resa celebre dal pugile Muhammad Ali, che prima e durante i match si vantava della propria potenza o abilità, incalzava gli avversari e li provocava in modo da poter sfruttare di volta in volta il timore riverenziale o l'avventatezza dettata dalla rabbia.

Nel mondo del gioco tabletop il trash-talking è particolarmente utilizzato (sebbene spesso sia sanzionabile e di fatto sanzionata) nell'ambito dei giochi di carte collezionabili: è considerato ovviamente all'antitesi del fair play, ma c'è chi la ritiene non solo una pratica legittima, ma una vera e propria "competenza" che, se opportunamente utilizzata, può mandare l'avversario in tilt (ossia fargli perdere la concentrazione o indurlo a mosse avventate).

Nel gioco da tavolo non collezionabile è una pratica abbastanza invisa non appena smette di essere scherzosa, ma in realtà le casistiche sono molto varie: il concetto di "scherzoso" è molto soggettivo, è ovvio che sia considerato normale parlare al tavolo e, soprattutto durante una serata fra amici, è normale prendersi un po' in giro o commentare le mosse. Non solo: può succedere che qualche giocatore dia "spassionati" consigli agli avversari, o commenti in modo da sviare l'attenzione (a mo' di bluff, insomma), o ancora punti l'attenzione sul vantaggio del giocatore in testa per concentrare gli assalti degli avversari su di lui.
"Bash the leader!"
Ogni gruppo di gioco ha le sue regole interne in questo senso, ed esse possono essere da un lato molto varie (da "non si parla dell'andamento della partita" a "perculamento libero") e anzi possono variare da gioco a gioco, da un altro talmente "personalizzate" da non essere applicabili, per esempio, in contesti quali una partita ad un evento ludico - quindi con persone che non si conoscono - o durante un torneo.

Al di là del personale giudizio di ognuno su questa pratica, che ovviamente riguarda i giocatori in quanto tali, c'è un aspetto che mi ha sempre affascinato come autore: come deve regolarsi un game designer rispetto alle "chiacchiere al tavolo", sapendo che possono diventare uno strumento tattico nelle mani di alcuni giocatori?

Le regole, quelle scritte sul manuale del gioco, devono stabilire se e come i giocatori possono interagire fra di loro al tavolo, ove ritenuto opportuno, o si tratta di un'intromissione nelle dinamiche sociali dei gruppi di gioco troppo pesante? Sicuramente è un elemento da valutarsi caso per caso: il regolamento di un gioco basato su bluff, contrattazione e diplomazia "libera" difficilmente potrà porre eccessivi limiti agli artifici retorici dei giocatori, mentre nel caso di giochi più riflessivi o basati sulla pianificazione delle mosse possono risentire molto di giocatori "molesti" che suggeriscono, motteggiano o sviano l'attenzione degli avversari (ovviamente "molesti" vale solo per gli altri: dal proprio punto di vista il trash-talker sta solo giocando al meglio delle proprie capacità, in assenza di una regola esplicita o implicita che gli impedisca di utilizzare questi escamotage).

Insomma: noi giocatori siamo tutto meno che automi realizzati in serie. Da autore ovviamente non posso prevedere ogni possibile tipo di sfumatura caratteriale, ma - per esempio - è lecito supporre che di fronte a un gioco strategico e competitivo esistano giocatori che utilizzino ogni espediente ammesso dal regolamento per vincere, o che un gioco collaborativo soffra gli alpha player (quelli che sanno per certo come si vince, e che quindi devono assolutamente dire agli altri come giocare).
Certo, ci sono molti studi sui "tipi di giocatori" (il più famoso è probabilmente la Tassonomia di Bartle), ma spesso gli studi si concentrano sui videogiocatori e sui giochi online, non sulle interazioni intorno a un tavolo.

Cosa ne pensate? Siete giocatori "chiacchieroni" o estremamente introversi? Quali sono i generi di giochi in cui pensate sia necessaria una maggiore "regolamentazione" delle interazioni fra giocatori? Voi come risolvereste il problema?

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